Relazione extraconiugale “provata” tramite copie screenshot WhatsApp, non ammissibili
Per provare l’infedeltà dell’ex con le chat di WhatsApp bisogna produrre lo smartphone in giudizio
Utilizzabili nel civile le prove ottenute in modo illecito, ma non bastano gli screenshot: no all’istanza se la parte non chiede l’ordine di esibizione. Legittimo violare la privacy solo se necessario.
Niente addebito della separazione al marito, nonostante le chat piccanti con una donna prodotte in giudizio dall’ex moglie: sono insufficienti, infatti, le copie delle schermate depositate da un coniuge per dimostrare l’infedeltà dell’altro. Se non risulta prodotto lo smartphone, è escluso che si possa verificare in sede giudiziale che la documentazione depositata corrisponda al contenuto effettivo delle conversazioni, attraverso una consulenza tecnica. Istanza rigettata perché la moglie non chiede l’ordine di esibizione del cellulare o del pc del marito, né spiega come è entrata in possesso degli screenshot. È quanto emerge dalla sentenza 1602/21, pubblicata dalla prima sezione civile del tribunale di Ancona.
Conversazioni whatsapp: riproduzione meccanica
Nel caso trattato, la moglie produce in giudizio le schermate di conversazioni private avvenute coi messaggi di Facebook fra il marito e una certa G. Nel processo civile vige il processo di disponibilità: non esiste una norma che vieta l’introduzione di prove ottenute in modo illecito e spetta alla discrezionalità del giudice stabilire se ammetterle o no. Le copie degli screenshot, tuttavia, costituiscono una riproduzione meccanica equiparata a una semplice fotocopia e possono essere considerate una prova solo se non contestate dalla controparte. Stesso discorso vale per gli sms whatsapp per amanti
Surrogazione esclusa: di fronte al disconoscimento formale da parte del marito, è allora necessario acquisire in giudizio il supporto informatico, ma la moglie non lo chiede. L’ordine di produzione, fra l’altro, deve fare i conti con le preclusioni processuali e non può avere natura esplorativa: è dunque escluso che possa sostituire l’onere della prova non assolto dalla parte.
Diritto di difesa.
L’accesso abusivo a un sistema informatico, ad esempio il WhatsApp altrui, costituisce reato e non risulta giustificato dal diritto di difendersi in giudizio, mentre la violazione della privacy è legittima soltanto se assolutamente necessaria a evitare una decisione giurisdizionale ingiusta. La moglie, nella specie, non spiega da dove proviene il documento depositato né produce altri elementi o chiede prove orali sul punto: non risulta quindi provata la violazione dei doveri coniugali da parte del marito.
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