La CEDU condanna l’Italia per violazione dei rapporti padre-figlio
Per i giudici di Strasburgo si deve provvedere al ripristino immediato della relazione padre-figlio
Con la recente pronuncia del 22 aprile 2021 (affaire R.B. et M. c. Italia) la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia al risarcimento del padre e del figlio per non aver attuato mezzi idonei e rapidi a far eseguire in concreto la decisione del Tribunale che disponeva il ripristino graduale della relazione padre figlio, a causa della condotta ostativa della madre.
La moglie ed il marito si separavano consensualmente, prevedendo l’affidamento condiviso del figlio e regolamentando le visite del padre al figlio come da prassi della maggior parte dei tribunali italiani.
Nel 2013 la moglie denunciava il marito per abuso sessuale sul figlio. La denuncia risultava pretestuosa e veniva rapidamente archiviata dal Tribunale penale.
Dal momento della denuncia la madre non ha più permesso al padre di avere alcun tipo di contatto con il figlio.
Sia il Tribunale per i Minorenni di Torino che la Corte d’Appello competente, dopo un’ampia attività istruttoria supportata da consulenti tecnici e servizio sociale, si pronunciavano favorevolmente agli incontri padre-figlio, inizialmente con il supporto dei Servizi Sociali.
La madre non ha mai permesso tali incontri, utilizzando strumentali pretesti.
Nel 2018, il Tribunale disponeva il collocamento del bambino in casa famiglia, stante l’opposizione materna al rapporto padre-figlio ed il rapporto simbiotico che aveva creato la stessa con il figlio.
La Corte d’Appello riformava la sentenza nella parte in cui disponeva il collocamento del bambino in casa famiglia, confermando il collocamento presso la madre.
Il padre adiva quindi la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per violazione degli articoli 6 e 8 della Cedu, per non aver potuto svolgere il diritto di visita, come stabilito dal Tribunale, per la condotta della madre e senza che lo stato italiano abbia attivato rapidamente i mezzi necessari per assicurare il diritto di visita del padre al figlio.
La decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
La Corte Europea ha dovuto pertanto verificare se lo stato italiano avesse messo in atto rapidamente tutte le misure a propria disposizione per tutelare l’interesse del figlio alla vita familiare, esaminando le modalità ed i tempi con cui l’Italia è intervenuta per garantire il diritto di visita del padre al figlio.
La Corte Edu ha ravvisato che le giurisdizioni interne dello stato non hanno adottato misure appropriate per la realizzazione del diritto di visita del padre al figlio, soprattutto non le hanno adottate in tempi rapidi.
Hanno constatato che dal 2013 al 2018 non sono state assunte decisioni rapide e concrete che sarebbero state necessarie per stabilire un contatto tra padre e figlio.
Evidenzia infatti che i Tribunali hanno assunto “misure automatiche e stereotipate”, delegando completamente la gestione della famiglia ai servizi sociali.
Inoltre, la Corte rileva che “l’arsenale giuridico previsto dal diritto italiano” avrebbe permesso ai giudici di assumere decisioni per far rispettare le proprie disposizioni e soprattutto per far rispettare l’articolo 8 della Cedu.
Nel caso in esame, condanna quindi l’Italia per non aver intrapreso nessuna azione rapida per evitare “i comportamenti nefasti” per il figlio e per il padre, in violazione dell’articolo 8.
Conclude stabilendo un risarcimento a carico dello stato italiano sia nei confronti del padre che del figlio.
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