Per Corte di Cassazione non commette reato il marito che consegna al giudice file contenenti immagini hot della moglie con il suo amante per provarne il tradimento.
La Corte ha precisato che la produzione di dati personali per far valere i propri diritti in un giudizio non costituisce violazione della privacy in quanto i dati stessi vengono raccolti e gestiti nell’ ambito del processo stesso: titolare del trattamento però, è il giudice, non il privato.
Proprio sulla base di queste argomentazioni si sviluppa la recentissima conclusione degli Ermellini.
La Corte ha infatti consacrato il principio per cui l’uso dei dati personali durante l’attività processuale è lecita: in questo caso il diritto alla difesa prevale, ma solo se funzionale allo svolgimento delle indagini difensive e solo se i dati siano utilizzati o trattati per il periodo strettamente necessario allo svolgimento del processo ed esclusivamente nelle sedi giudiziarie.
Alla luce di ciò, è pacifico che foto, filmati, registrazioni, email o simili documenti possono essere prove valide dell’infedeltà coniugale in una causa, ad esempio, di separazione o divorzio. Sul piano pratico, entrare in possesso di tale materiale per scopi processuali non è reato, ma può costituire un consistente supporto agli operatori del diritto per garantire la ricerca della verità.
La Suprema Corte ha dunque risolto il dubbio formulato da molti clienti ed assistiti in possesso di materiale video e fotografico relativo a tradimenti del coniuge che ritraggono anche in momenti intimi.
Naturalmente il materiale va analizzato prodotto e fornito nel giudizio con un determinato criteri ed in funzione di una corretta strategia difensiva.
Se desideri una consulenza sul tuo caso, prenota un colloquio al numero 0815405612 oppure 800660817
[
Pingback: Relazione sui social: è tradimento? – Studio Di Caprio