Cos’è il mobbing familiare?
Il mobbing in famiglia è una nuova categoria di mobbing elaborata dalla giurisprudenza. Sempre più ricorrenti, sono i casi trattati dal nostro studio in cui ricorrono i presupposti per questo tipo di violenza familiare. Il mobbing familiare può coinvolgere il partner in qualità di coniuge, di genitore ed anche i figli.
Per la Corte di Cassazione, anche il mobbing in famiglia per essere tale deve rispettare dei requisiti:
- la reiterazione nel tempo dei comportamenti persecutori;
- il danno alla salute, sia fisico che psichico, della vittima;
- il nesso causale tra la condotta mobbizzante ed il danno alla salute;
- l’intenzionalità persecutoria dell’autore
Il coniuge che subisca costanti umiliazioni, silenzi, sopraffazioni può chiedere l’addebito della separazione per il cosiddetto “mobbing familiare” oltre al risarcimento dei danni subiti.
L’obiettivo del coniuge “mobbizzatore” (o mobber) è di distruggere psicologicamente l’altro coniuge detto “mobbizzato”, annientandone l’autostima e la forza di reazione. Di norma, il mobber assume atteggiamenti subdoli, sottili, che procurano danni – anche rilevanti – sulla sfera psichica della vittima. Così, il coniuge maltrattato arriva a presentare problematiche di salute (per esempio: depressione, ansia, disturbi neurovegetativi) che distruggono lentamente la sua autostima, spingendola, in alcuni casi, a gesti estremi come il suicidio o a fenomeni di autolesionismo.
Esiste una legge che disciplina il “mobbing familiare”?
Non esiste una legge che definisca e sanzioni il “mobbing familiare”, divenendo quest’ultima più una definizione sociale che non giuridica. Tuttavia, ciò non significa che non vi siano forme di tutela e, soprattutto, di sanzioni.
La prima volta che un giudice ha parlato di tale fenomeno è stata in occasione di una sentenza della Corte d’Appello di Torino che ha riassunto, nella formula di “mobbing“, tutti quei comportamenti emarginanti, irriguardosi, offensivi esternati in privato ed in pubblico, nonché tutte quelle azioni che violano il principio costituzionale di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
Con tale pronuncia, la Corte di Appello ha riconosciuto l’addebito della separazione al marito che aveva offeso ripetutamente la moglie, anche sul piano estetico, in privato ed in pubblico, facendole pesare le modeste condizioni della famiglia d’origine e, in più occasioni, l’aveva invitata ad andarsene da casa.
La pronuncia di addebito della separazione prescinde dalla tipologia di violenza commessa e dal numero di volte in cui sia stata perpetrata, tanto da considerare comportamenti violenti – oltre ai maltrattamenti, alle percosse, ai comportamenti persecutori (cosiddetto stalking) e alle minacce (anche di tipo economico) – condotte come:
– le intimidazioni;
– le ingiurie;
– le pressioni psicologiche (il mobbing);
– le prevaricazioni;
– le svalutazioni in pubblico:
– l’atteggiamento autoritario.
Esiste poi una forma ancora più subdola ed è mobbing genitoriale, che si verifica per lo più tra coppie separate o divorziate quando si tenta di squalificare il coniuge dal ruolo genitoriale, impedendo di esercitare la responsabilità genitoriale attraverso sabotaggi delle frequentazioni con il figlio, campagne di denigrazione e delegittimazione agli occhi del minore o, ancora, estromissione dai processi decisionali.
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