Dopo 35 anni in cui il marito separato aveva corrisposto l’assegno di mantenimento in favore della coniuge, arriva la sentenza di divorzio nella quale si dispone la revoca di ogni assegno ed il rigetto della richiesta di riconoscimento dell’assegno divorzile.
Nel caso seguito dal nostro studio, i coniugi si erano separati giovanissimi negli anni 90 dopo pochi anni di matrimonio. Il giudice nella sentenza di separazione aveva riconosciuto assegno di mantenimento in favore della coniuge non economicamente indipendente ed un assegno di mantenimento in favore del figlio.
Dopo molti anni, il marito chiede il divorzio con richiesta di revocare ogni assegno di mantenimento in favore della coniuge oramai sessantenne. Nel frattempo il figlio era diventato maggiorenne ed economicamente indipendente. La ex moglie, nel giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, aveva richiesto un assegno divorzile in suo favore pari ad € 500,00, sostenendo di non avere altri redditi nè di avere possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro.
Con sentenza del Tribunale di Napoli, in adesione all’orientamento recente della Cassazione, veniva rigettata la richiesta della coniuge la quale benchè sessantenne e senza lavoro, era titolare di un immobile e non aveva dimostrato, nel corso del giudizio, di aver contribuito con le proprie scelte e sacrifici a favorire all’ascesa economica del coniuge. I giudici chiariscono che la natura dell’assegno divorzile non è quella di mantenimento ma è assistenziale. Ciò significa, che cessato ogni vincolo coniugale, non sussiste la solidarietà familiare ed i presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile sono molto più ristretti.
La formulazione della norma è chiara nello stabilire che l’obbligo per un coniuge di “somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno” sorge quando il richiedente non ha mezzi adeguati e non può procurarseli per ragioni oggettive, ma il periodo si apre con la prescrizione espressa e completa dei criteri di cui il giudice deve tenere conto, valutandone il peso in relazione alla durata del matrimonio quando dispone sull’assegno di divorzio.
E’ noto che di recente le rilevanti modificazioni sociali che hanno inciso sulla rappresentazione simbolica del legame matrimoniale e sulla disciplina giuridica dell’istituto hanno determinato l’esigenza di valutare criticamente il criterio attributivo dell’assegno cristallizzato nella nota sentenza delle S.U. n. 11490 del 1990, soprattutto in relazione al rischio di creare rendite di posizione disancorate dal contributo personale dell’ex coniuge richiedente alla formazione del
patrimonio comune o dell’altro ex coniuge, ed a quello connesso della deresponsabilizzazione conseguente all’adozione di un criterio fondato solo
sulla comparazione delle condizioni economico-patrimoniale delle parti.
Sotto tale aspetto si colloca, in primo luogo, la pronuncia della Sezione I sentenza n. 11504 del 2017, ma più di recente la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 11/07/2018, che, dirimendo il contrasto interpretativo conseguente all’ultima sentenza citata, ha abbandonato la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di un’interpretazione dell’art. 5 comma 6 L 898/1970 più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito dagli artt. 2, 3 e 29 Cost, ha riconosciuto all’assegno di divorzio una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa e, per il suo riconoscimento, ha reso necessario l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
Il principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto, impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari, conferendo rilievo alle scelte ed ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e la vita familiare. Tale rilievo ha l’esclusiva funzione di accertare se la condizione di squilibrio
economico patrimoniale sia da ricondurre alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del
matrimonio e all’età del richiedente. Ove la disparità abbia questa radice causale e sia accertato che lo squilibrio economico patrimoniale
conseguente al divorzio derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato esclusivamente o
prevalentemente all’interno della famiglia e dal conseguente contribuito fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge.
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